Design come arte

Beppe Finessi

Quando l’arte incontra l’abitare, quando aziende botteghe gallerie dialogano con gli artisti, quando i progettisti lavorano ad arte, quando il primo obbiettivo non è più o non è solo la comodità di una sedia, l’altezza di un tavolo, la capienza di un contenitore, può capitare che qualcosa si trasformi, e forme e tipologie e consuetudini almeno secolari diventino altro: il caso, i casi, di una storia tricolore che è bello almeno tratteggiare, ricordando accadimenti non sempre da prima pagina, ma solo perché la stampa è stata spesso miope.
Una storia, questa tricolore, che non nasce in un momento preciso, ma che nel corso degli anni trova momenti speciali con cui iniziare a definirsi. Una storia scritta da alcuni protagonisti outsider: dall’inizio del secolo Carlo Bugatti, poi Fortunato Depero, poi Carlo Mollino, poi Gio Ponti, poi Bruno Munari. Per ognuno di loro, per il loro contributo anche intorno all’intreccio tra arte e progetto, si è già detto molto. Una storia proseguita da altri progettisti, artisti, imprenditori, editori, galleristi. Ma una storia fatta anche di luoghi, e di geografie.
Alla metà degli anni Sessanta, a Torino, nei dintorni dell’Arte Povera, un gruppo di progettisti scanzonati si era posto in dialogo con una nuova azienda, Gufram, capace di cogliere quei ragionamenti “altri” e di presentare una collezione dove accogliere, con morbida disinvoltura, le parole e le cose di Ceretti/Derossi/Rosso, dello Studio 65, di Guido Drocco e Franco Mello, oltre all’arte vera e propria diventata subito arredamento di Piero Gilardi. “Il rock del design”, qualcuno ha scritto, ricordando quella stagione rivoluzionaria di corpi, vitamine e armonie.
Tra Torino, dove si era formato, e Milano, dove ha sempre vissuto, un maestro di respiro internazionale, protagonista per tutti gli anni Sessanta, Settanta e poi Ottanta, e poi ancora fino a ieri: Ettore Sottsass, leggendario, capace di mettere in crisi qualunque tentativo di inquadramento critico, libero per spirito, necessità, desideri. E guru/catalizzatore di molti giovani alla ricerca di una propria identità: nei Sessanta con l’azienda Poltronova a scrivere un catalogo di oggetti/sculture che ancora oggi rappresentano pietre miliari nella storia del rapporto tra arte e design, e negli Ottanta con Memphis a rimettere in discussione ogni ordine prestabilito, e a sconfiggere da solo l’orizzonte piatto degli industriali in giacca e cravatta.
A Bologna, negli anni Sessanta, un imprenditore anomalo, Dino Gavina, “sovversivo” per vocazione, aveva cercato, tra i primi, di ritrovare i legami con l’arte, scegliendo da subito il dialogo con i grandi, i più grandi: Marcel Duchamp e Lucio Fontana, e poi Sebastian Matta, Man Ray e Meret Oppenheim.
A Meda, nel cuore della Brianza, un altro imprenditore, curioso e programmaticamente moderno, Cesare Cassina, visceralmente vicino al nuovo, è stato sostenitore della prima ora di quel personaggio unico che è ancora oggi Gaetano Pesce, maestro della “serie diversificata” e poeta dell’“imperfezione”. Sempre in Brianza, un altro imprenditore di razza, Aurelio Zanotta, già in grado di comprendere “al volo” la poesia spiazzante del “Sacco” di Gatti/Paolini/Teodoro e farne un best seller, era arrivato negli anni Ottanta a proporre con la collezione “Zabro” oggetti/opere di Riccardo Dalisi, Andrea Branzi, Corrado Levi, Alik Cavaliere e Alessandro Mendini.
Nei primi anni Novanta, a rinverdire anni eroici in cui la produzione della “bottega” andava sottobraccio con quella degli artisti, la Tecno presenta la collezione ABV con opere di Getulio Alviani, Agenore Fabbri, Carlo Mo, Arnaldo Pomodoro, François e Frédéric Morellet, Luigi Veronesi e altri ancora.
Altre figure di liberi battitori, personalità uniche e poco propense al gioco di squadra, attraversano questi dieci lustri da protagonisti tra le discipline: Enzo Mari, Nanda Vigo, Ugo La Pietra. Negli anni, alcune decine di libri hanno dato il giusto riconoscimento del loro monumentale lavoro.
Poi, nel bel mezzo del cammino di questa storia, ecco quello che avete tra le mani, e di fronte ai vostri: “Megalopoli”, gemma preziosa, anomala e sofisticata, che torna oggi, con la forza della cose che non possono essere dimenticate, e con un identità profondamente originale, fatta di tante anime, libere e sperimentali, che hanno lasciato impronte, tracce e memorie che era doveroso ritrovare. Per completare la storia delle righe sopra.

Beppe Finessi

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