Centavolo

di Vanni Pasca

Olivia Toscani Rucellai, con la sua Otto- luogo dell’arte e la direzione artistica di Mauro Lovi, sta sviluppando da alcuni anni una ricerca sui rapporti tra arte e design attraverso una serie di mostre: storiche come quella dedicata alla galleria che Agneta Holst curava a Milano alla fine degli anni ’70; di esplorazione dei nuovi rapporti che giovani designer vanno intessendo con l’artigianato; o, come quest’ultima, dedicata alle nuove proposte che Lovi elabora. Qui, coerente con la sua vena surreale, Lovi presenta tavoli ibridi, mobili- scultura che, dopo gli ibridi uomo-animale da Khnopff a Meret Oppenheim, propongono metafore della simbiosi che si verifica tra l’uomo e gli oggetti che lo circondano. Centavolo, tavolo centauro, aggregato di pezzi di tavoli riciclati, ma anche graffiti e dipinti di centavoli sulle pareti; e tappeti, realizzati da Boralevi su produzione indiana con la tecnica del nodo tibetano.

In questa mostra si è ritenuto importante segnare la ricerca in atto facendo riferimento a un oggetto che, oltre a essere diventato un’icona del design contemporaneo, ha segnato un punto di svolta nel design del XX secolo. Riassumiamo brevemente. Per decenni nel secolo passato il design è stato segnato dall’influenza razionalista dell’astrattismo geometrico, di derivazione De Stijl ma anche nelle versioni proprie delle avanguardie sovietiche e della scuola moscovita del Vchutemas. L’astrattismo geometrico è stato insieme scelta estetica di semplicità, di composizione strutturata, di essenziale gestaltung; e di adesione etica ai processi di produzione industriale seriale e quindi di semplificazione adeguata al “fatto a macchina”. Brancusi diceva: la semplicità è la complessità risolta: Robert Venturi con il suo libro “Complexity and Contradiction in Architecture” (1966) riapre il discorso sulla complessità come valore. Èd è in generale con il secondo dopoguerra e in particolare con l’esplosione della pop art , dagli USA alla Biennale di Venezia del 1964 (ma in realtà molto è già nato negli anni cinquanta in Inghilterra), con il recupero del dada, del surrealismo, in generale della figura e della figuratività, che si riapre una ricerca che rilegge la tradizione espressionista (in architettura) e quella connessa al fatto a mano (nel design: si pensi agli anni ’20 e a “La casa d’arte” di De Pero). In questo nuovo panorama Alessandro Guerriero, con Mendini, Sottsass e altri, nel 1976 fonda lo studio Alchimia, “primo esempio di progettisti produttori. .. orientati verso la ricerca ambientale e psicologica degli oggetti (cosmesi universale), progettando occasioni per la definizione di una nuova teoria del design romantico”.

“Cosmesi universale”, termine mendiniano che riecheggia la “Ricostruzione futurista dell’universo” di Balla e De Pero mentre la definizione “romantico” assume qui il senso proprio di “antirazionalista”. E nel 1978 appare sulla scena la “Poltrona di Proust” disegnata da Alessandro Mendini che proietta con tecnica “pointilliste” i colori su una vecchia poltrona “in stile”, dove il falso barocco si contamina con l’arte, infiniti punti policromi pennellati a mano non solo sul tessuto ma significativamente anche sui bordi, texture e colori tratti da un dettaglio di un quadro di Signac. Mendini all’epoca disegna anche una poltrona spigolosa e colorata che chiama Kandissi (1978) in omaggio a Kandiski, che ricorda molto Balla e Depero. Mendini ritiene che occorra rielaborare il rapporto tra arte e design e presenta oggetti nutriti di contaminazioni linguistiche, sorta di “neofuturismo” che gioca a combinare citazioni dal vissuto, rivisitazioni delle avanguardie storiche e immagini desunte dalle comunicazioni di massa. E teorizza il “design pittorico”, “circolo creativo” tra arte e design, tra designer-artista e artista-designer.

Così nella mostra odierna si è ritenuto utile mettere in scena “La poltrona di Proust” anche in base a un’altra constatazione. La poltrona ha subito nel tempo un processo di metamorfosi, una serie di variazioni sul tema, dove l’impianto base si è declinato in versioni successive: la struttura in legno scolpito e rivestito da un tessuto multicolore ha ricevuto versioni diverse con il variare delle decorazioni (Cappellini); è stata prodotta in mosaico e in bronzo, in versioni mignon, ma anche in polietilene stampato in rotazionale (Magis). Fino a oggi quando per una messa in scena curata da Morgan del “Matrimonio segreto” di Cimarosa al Teatro Coccia di Novara è stata presentata in una versione qui in mostra decorata di nuovo a mano. Un oggetto quindi che non accetta di essere cristallizzato in un’icona ma si apre continuamente a nuove versioni, rilancio barocco di variazioni sul tema, che non si accontenta né della versione come copie identiche seriali né di quella del pezzo unico, proponendo una nuova riflessione sull’arte, il design, i loro rapporti. Perfetto oggetto simbolo di una mostra che non a caso si intitola “Contemporaneamente”.

Un’ultima considerazione. Per questa iniziativa si è verificata, in vario modo, una collaborazione tra Otto-luogo dell’arte, Daniele Boralevi (esperto e attivo da generazioni nel mondo del tappeto) e Pierluigi Bemporad (Selfhabitat, vetrina del design contemporaneo a Firenze). Sono mondi ed esperienze diverse ed è molto interessante e positivo che si crei una rete di competenze e attività per il design in una città che molto ha espresso in passato su questo terreno.

Vanni Pasca

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