Mauro Lovi,mostra personale a Firenze

Isa Tutino

Architetto, pittore, scultore, grafico, designer, art director, progettista di suggestivi allestimenti, installazioni, giardini e parchi d’arte, inventore di mostre ed eventi, di libri anche premiati, efficace catalizzatore di energie creative, delicato affabulatore, Mauro Lovi è soprattutto una persona dotata di una gentilezza d’animo così profonda e sensibile da indurre poesia in tutto quello che crea. Lo posso ben sostenere, perché lo conosco da circa un quarto di secolo: soltanto per fare un esempio, un suo impegnativo lavoro, l’ambientazione con pittura murale “Il sogno di Proteo”, creata nei primi anni Novanta per Megalopoli di Agneta Holst a Milano, ha figurato sulla copertina della rivista che allora dirigevo, “Casa Vogue”; né sono mancate diverse altre occasioni in cui abbiamo felicemente collaborato.

Nel suo lavoro d’artista è sempre stata leggibile la memoria di un Novecento attentamente studiato e molto amato: ma intimamente trasfigurata, come la nostalgia di un perduto ma sempre vivo paesaggio dell’infanzia.

Ora sono lieta che il nuovo spazio espositivo fiorentino di Olivia Toscani, “Otto luogo dell’arte”, lo abbia scelto, oltre che come art director, prima di tutto come autore della mostra personale destinata ad inaugurare la multiforme attività di questo centro carico di promesse.

I quadri di questa mostra mi hanno in qualche modo ricordato, nel loro elegante stupore, che è insieme candido e colto, il bel libro di poetici acquarelli che sedici anni fa Lovi dedicò alle mura della sua beneamata città. Lucca. Passeggi e passaggi, mura viste come “un percorso pedonale per abbracciare la città, per possederla”, come tentativo di isola in un mare verde, ma anche come ricco magazzino di stimoli per giochi infantili e sogni adolescenziali, dove “c’è sempre da aspettarsi qualcosa di magico”.

Anche i quadri di questa mostra hanno un risvolto misterioso che induce a reveries accento circonflesso: come il portale cieco che si affaccia su un mare così piatto che forse è soltanto una piscina, e che si tiene accanto soltanto la simbolica ombra di un pino marittimo: dove conduceva questo passaggio, prima di essere murato? Che cosa c’è “oltre”? Che cosa si nasconde dietro quella non-apertura?

E chi è la lanuginosa creatura oblunga e striata che abita fra le radici di certi tronchi, in un bosco nebbioso, probabilmente innevato?

E dove sono le chiome di questi boschi fitti di chiaroscuri, marezzati da giochi di luce multicolori, folti di tronchi lisci che in alto si dividono semplicemente a forcella, come fionde giganti ma assolutamente pacifiche, non minacciose, anzi ludiche, amichevoli e serene, solo delicatamente allusive a quella perplessità che ogni selva reca al viandante? ( Basti qui ricordare quel bellissimo dipinto che è ³La sera² di David Caspar Friedrich, del 1820-21, e lo smarrimento che si prova ad osservarne i due minuscoli personaggi  quasi sperduti nel grande bosco al tramonto).

Sembrano a volte tronchi argentei di betulle, come quelli dei boschi del nord; ma la luce che si frantuma in mille iridescenze è dichiaratamente mediterranea. Altri tronchi hanno le macchie oscure dei platani, o più spesso la domestica chiarezza dei pioppi. Ma ogni indagine botanica appare superflua, fra questi boschi dell’anima, che respingono ai loro margini più remoti l’eventuale lupo, in modo che le fanciulle vi possano passeggiare tranquille.

Ed è una catasta di ramoscelli o il capanno di un cacciatore o non piuttosto la casetta di Hansel e Gretel la forma pentagonale al centro del bosco che la sera va tingendo di ombre viola e azzurrine?

Possiamo identificare con maggior certezza l’appartenenza ai personaggi della favola della casetta-scultura, anche perché abitata dai loro dolcetti di marzapane.

E chi si è appena alzato dallo sgabello solitario sulle rive di un minuscolo specchio d’acqua che sembra invitare a meditabonde contemplazioni come e più di un vasto oceano?

Come sempre, come in ogni sua creazione, anche in questi quadri di boschi e radure “dove passa meglio il vento” Mauro Lovi racconta la sua ricerca poetica di un ordine non soltanto personale nella confusione dilagante e l’inesausta sete “di non finita libertà del cuore e della mente”.

Negli ormai lontani e divenuti quasi mitici anni Sessanta, c’era una canzone in cui Gino Paoli sognava di una stanza che non aveva pareti, ma alberi; e noi con lui. Chi ora riuscirà ad aggiudicarsi il fantastico trittico del bosco magico di Mauro Lovi vedrà questo sogno tradotto in realtà: la sua casa non solo avrà alberi al posto di semplici pareti, ma luce, quella luce bellissima che il tremolìo delle foglie dei pioppi filtra, mutandola in caleidoscopio, in festa di colori, in un intero nuovo mondo di suggestioni, di evocazioni, di visioni. Fortunato lui.

Isa Tutino

 

 

condividi